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"La Vicìnia"
Març dal 2016
 
Il secondo rapporto sull’innovazione sociale

Matteo Carzedda, dottorando in Scienze Manageriali ed Attuariali presso l’Università del Friuli. Dopo la laurea in Scienze Internazionali e Diplomatiche, conseguita a Gorizia, ha frequentato il Master in Development Economics and International Cooperation dell’Università di Roma Tor Vergata. Tra i suoi interessi di ricerca, la competitività e la sostenibilità in agricoltura, la multifunzionalità delle imprese agricole ed il valore sociale e culturale dei distretti rurali
«Innovare significa ampliare i confini della Comunità»
I BENI COLLETTIVI NEL II RAPPORTO SULL’INNOVAZIONE SOCIALE
Un saggio di Matteo Carzedda illustra le esperienze di San Marco di Mereto e del “Patto della farina”

[L. N.]
Nel secondo rapporto sull’innovazione sociale in Italia, “Modelli ed esperienze di innovazione sociale in italia”, c’è posto anche per i progetti avviati dalla Proprietà collettiva di San Marco di Mereto di Tomba e dal Forum regionale per l’Economia solidale e i Beni comuni, cui aderisce dalla fondazione il Coordinamento regionale della proprietà collettiva.
Il dottorando in Scienze Manageriali ed Attuariali presso l’Università friulana, Matteo Carzedda, per il volume curato da Matteo G. Caroli del Centro di ricerche internazionali sull’innovazione sociale “Ceriis” e pubblicato da “Franco Angeli” (con versione digitale disponibile ad accesso aperto sulla piattaforma “FrancoAngeli Open Access” - www.francoangeli.it/Ricerca/Scheda_Libro.aspx?ID=23270), ha predisposto il capitolo “L’innovazione sociale e la seconda rivoluzione verde”.
Dell’opera proponiamo la quarta di copertina, che illustra i contenuti del volume, la presentazione di Gianni Lo Storto, direttore generale dell’Università “Luiss”, e il saggio di Carzedda che, tra i suoi interessi di ricerca, annota la competitività e la sostenibilità in agricoltura, la multifunzionalità delle imprese agricole ed il valore sociale e culturale dei distretti rurali.


Modelli ed esperienze di innovazione sociale in italia
Secondo rapporto sull’innovazione sociale

Il secondo rapporto sull’innovazione sociale in Italia pubblicato dal “Ceriis” (Centro di ricerche internazionali sull’innovazione sociale), analizza il fenomeno dell’innovazione sociale nel nostro Paese, attraverso la rilevazione di quasi 500 progetti ed esperienze e l’approfondimento di 56 casi di maggior rilevanza. Lo studio identifica le caratteristiche chiave dell’innovazione sociale e le principali condizioni che ne favoriscono lo sviluppo; evidenzia gli ambiti di rilievo sociale dove il fenomeno in questione risulta più frequente; le specificità dei soggetti tipicamente coinvolti e le modalità (appunto, innovative) con cui essi interagiscono nell’implementazione delle iniziative. Il lavoro approfondisce le condizioni che determinano la possibile sostenibilità economica dell’innovazione sociale, anche fornendo una stima dei finanziamenti pubblici che in questi anni ne hanno supportato l’avvio. Analizza, poi, quanto accade nell’ambito delle imprese “profit”, cogliendo la connessione tra innovazione e politiche di corporate social responsibility. Sulla base dei risultati derivanti dall’analisi di tali questioni, il rapporto presenta un set di proposte per l’elaborazione di una politica organica a favore dello sviluppo dell’innovazione sociale. Nella terza parte conclusiva, sono presentati alcuni contributi su particolari problematiche relative all’innovazione sociale, tra cui quella del coinvolgimento dei giovani.
Due aspetti distinguono il Rapporto sull’innovazione sociale del “Ceriis”, rendendolo un punto di riferimento nel dibattito sulle nuove modalità di creazione di valore collettivo: l’attenta rappresentazione della realtà empirica del fenomeno, determinata dalla rilevazione di un numero molto ampio di esperienze a diversi stadi di sviluppo; l’approfondimento dei criteri pratici che permettono di distinguere l’innovazione sociale e i fattori da cui dipende il suo impatto.


Presentazione
di Gianni Lo Storto, direttore generale Luiss Guido Carli

“Innovazione” è una parola abusata, che può suonare addirittura banale, eppure fermiamoci un attimo a riflettere: siamo certi che abbia lo stesso significato per ciascuno di noi? L’etimologia – dal latino innovare, “fare cose nuove” – racconta di un processo che comprende nuovi modi di organizzare l’attività umana.
Tuttavia, a volte, tale processo è visto come uno stravolgimento dello status quo, stravolgimento fatto di soluzioni spesso poco immediate e che rispondono a esigenze non prioritarie.
L’innovazione sociale, concetto a sua volta tutt’altro che univoco come ben spiegato nelle pagine che seguono, può essere definita come una soluzione a un problema sociale che sia più efficace, efficiente e sostenibile di quelle già messe in atto, e in cui il valore creato vada a vantaggio della società prima che ai singoli individui.
Il “cuore” dell’innovazione sta quindi soprattutto nelle nuove relazioni attivate: più che di oggetti o fenomeni isolati, l’innovazione è questione di connessioni. Se un individuo non è un atomo isolato, ma la particella di un sistema molecolare più vasto e interconnesso, innovare significa innanzitutto mettere in contatto fasce diverse di popolazione, ampliare i confini della comunità, includere anziché escludere, coinvolgere anziché discriminare.
“Includere il margine”, principio alla base dell’innovazione jugaad, sembra quanto mai valido per l’innovazione sociale, intesa come la capacità di migliorare il contesto stesso in cui si sviluppa e cambiare il sistema.
L’innovazione sociale è intrinsecamente frugale e vantaggiosa economicamente, perché prevede una più efficace allocazione delle risorse a beneficio del più vasto bacino di persone possibile. Come ben illustrato da questo rapporto, essa dipende in prima battuta dal contesto e rappresenta un miglioramento delle condizioni della convivenza che avviene per mezzo del ripensamento delle relazioni comunitarie, e che passa dal coinvolgimento attivo di coloro che beneficiano del miglioramento. L’innovazione sociale, potremmo dire, si fa e non si aspetta.
Un approccio “ecologico” all’innovazione deve comportare un miglioramento, una rivoluzione estetica dei rapporti umani. Chi intende innovare a livello sociale deve lasciare la comfort zone, avere il coraggio di perdere l’equilibrio individuale per trovarne uno collettivo – quello che mi piace definire
come l’“equilibrio delle 3F”.
1. Un equilibrio Frugale, perché continuare a mantenere alti i livelli di consumo delle risorse è insostenibile nel medio-lungo termine. Frugalità non è sinonimo di insufficienza o di scarsa qualità ma implica, invece, la capacità di fare di più con meno risorse, naturali o umane che siano. L’innovazione sociale è frugale quando e se è in grado di ottimizzare le risorse esistenti per moltiplicare il valore finale, anziché semplicemente sommare i singoli fattori.
2. Un equilibrio Formale, perché l’innovazione sociale non deve essere un orpello di cui aziende od organizzazioni si devono vantare, né la formula vuota con cui abbellire la presentazione di un business plan, bensì un processo strutturato e ben inserito nella metodologia operativa di ciascuno. Fare dell’innovazione sociale un obiettivo chiave di un business è senza dubbio una fonte importante di crescita economica.
3. Un equilibrio, infine, Formativo, perché lo scambio di conoscenze, idee, intuizioni ed esperienze che avviene nel contesto scolastico e in quello universitario è il migliore e indispensabile propulsore dell’innovazione sociale.
L’era del need-to-know sembra aver lasciato il posto a quella del need-to-share, in un circolo virtuoso di “coopetizione”, più che di competizione.
A questo proposito, Microsoft rappresenta un esempio interessante. Quando alcuni hacker violarono il suo Kinect, un regolatore di movimento per videogiochi, la compagnia minacciò inizialmente di far loro causa. Dopo una più attenta riflessione, la compagnia si accorse che i “pirati informatici” non avevano fatto altro che mettere in evidenza i limiti di quel prodotto, contribuendo, in sostanza, a migliorarne la funzionalità. Questo singolare “incontro/scontro di competenze” ha portato a nuove, inaspettate applicazioni per il Kinect, inizialmente progettato per fini esclusivamente ludici, e grazie agli hacker utilizzabile anche in molti altri modi – ad esempio come mini-car “autocondotta” e come app di supporto ai chirurghi, che grazie ad essa possono accedere alle cartelle cliniche dei pazienti durante le operazioni senza bisogno di usare le mani.
La condivisione crea ricchezza, valore, opportunità. L’esigenza formativa si accompagna perciò alla necessità di strutture – o campus – ove piantare e coltivare i semi dell’innovazione, per mezzo di spazi aperti di condivisione e dell’eliminazione di ogni tipo di barriera che impedisca alle idee innovative di circolare e crescere. Ma quali sono queste barriere, e come superarle? Ecco che entra in gioco uno strumento di lavoro, oltre che di approfondimento e crescita personale, come questo rapporto. Lo studio e l’applicazione degli strumenti dell’innovazione sociale necessitano di teoria, ricerca e “pratica sul campo”. Il pregio di un libro come questo è proprio il saper fornire tutti questi tipi di approccio, rappresentando esso stesso a un tempo una guida e un esempio concreto di contaminazione proficua.


L’innovazione sociale e la seconda rivoluzione verde
di Matteo Carzedda

12.1 Introduzione

Il termine “rivoluzione verde” si riferisce ai mutamenti dell’agricoltura mondiale avvenuti a partire dagli anni ’60 del secolo scorso. I massicci investimenti nella ricerca agronomica e genetica, unitamente alla meccanizzazione dell’attività agricola e all’impiego di fitofarmaci e fertilizzanti di sintesi, rivoluzionarono il settore primario e determinarono un rapido aumento della produttività agricola. Insieme ai progressi in campo medico, la rivoluzione verde è causa primaria della rapida crescita della popolazione mondiale avvenuta nel corso del ’900. La repentina trasformazione dell’agricoltura in un’attività industriale ha generato conseguenze positive diffuse, in primo luogo la maggiore disponibilità di cibo a prezzi molto più bassi (Pingali, 2012). Accanto ai vantaggi, tuttavia, esistono anche limiti e conseguenze negative.
Già agli inizi degli anni ’70, Cleaver (1972) sottolineò gli squilibri economici e sociali legati alla rivoluzione verde: in primo luogo, solo i ricchi latifondisti avevano possibilità di sostenere gli investimenti richiesti, diventando eccezionalmente competitivi ed escludendo di fatto dal mercato i piccoli produttori; a un livello più generale, inoltre, i Paesi in via di sviluppo adottarono strategie, ad esempio produzioni monocolturali e monovarietali, le quali si rivelarono disastrose per le economie nazionali nel lungo periodo.
Più di recente, grazie anche allo sviluppo di una nuova coscienza ecologia, si è destata la preoccupazione per gli impatti ambientali, come la perdita di biodiversità, l’alterazione del paesaggio, il degrado dei suoli e delle acque (Holt-Guiménez e Altieri, 2013).
Dati i limiti della prima rivoluzione verde, il dibattito pubblico internazionale si interroga in modo sempre più insistente su come trovare un equilibrio tra la crescente domanda alimentare globale, spinta dall’aumento della popolazione, e la necessità di preservare le limitate risorse del nostro pianeta (Horlings e Marsden, 2011). Cresce la necessità di una “seconda rivoluzione verde”, capace di risolvere le problematiche attuali e garantire uno sviluppo equo e rispettoso dell’ambiente. In letteratura scientifica, il concetto di seconda rivoluzione verde è utilizzato con due accezioni differenti: da un lato,
indica le possibilità offerte dal progresso scientifico, in particolare dalla genetica e dalle biotecnologie (Den Herder et al., 2010); dall’altro fa riferimento ad un approccio olistico e multidisciplinare, capace di combinare progresso tecnologico, sviluppo socioeconomico e sostenibilità ambientale (Meena et al., 2013).
Proprio in riferimento al secondo significato, l’innovazione sociale trova spazio nel settore primario. Gli attributi tipici dell’innovazione sociale, intelligenza, sostenibilità e inclusività, sono anche le parole d’ordine di questo modello emergente di sviluppo rurale. La strategia fondante della seconda rivoluzione verde è il cambiamento delle relazioni, intese in senso lato: relazione tra l’uomo e la natura, relazioni sociali, relazioni di mercato. Le modalità di attuazione variano in funzione delle specificità e delle esigenze locali, come dimostrano i due casi qui presentati, due progetti di filiera del grano nati in Friuli Venezia Giulia: il primo, Farine e Pan di San Marc, è frutto del coinvolgimento diretto della comunità e dell’amministrazione comunale; il secondo, il Patto della Farina, nasce dalla collaborazione tra consumatori e operatori della filiera.

12.2 Farine e Pan di San Marc

San Marco è una piccola frazione del comune di Mereto di Tomba, in provincia di Udine. Nel 2007, gli abitanti decisero di organizzarsi in un’associazione, Paîs di San Marc, con l’obiettivo di rafforzare il tessuto sociale della comunità. Una delle prime iniziative dell’associazione riguardò la definizione dei diritti di proprietà gravanti su un appezzamento di cinque ettari nelle campagne del borgo, fino ad allora gestiti dalla parrocchia. A seguito di un’intensa attività di ricerca storica e documentale, si scoprì che i terreni erano proprietà collettiva del nucleo abitato, appartenevano storicamente a tutti i residenti di San Marco. A seguito di quattro anni di confronti con il Commissario per la liquidazione degli usi civici, la procedura si concluse con l’istituzione, nel 2012, di un Comitato frazionale.
Il Comitato, eletto dai cittadini, è attualmente l’organo incaricato della gestione e della cura della proprietà collettiva. Dal 2013, il suo funzionamento è regolato da uno Statuto, frutto del lavoro congiunto dell’amministrazione locale e della comunità. Seguendo l’esempio di simili progetti realizzati in altre regioni italiane, il Comitato ha realizzato la filiera locale del grano e della farina. Dal frumento, coltivato con tecniche biologiche, si ottiene la farina utilizzata dai panificatori locali. Le modalità colturali e di trasformazione devono conformarsi a criteri di tutela ambientale e sostenibilità nell’utilizzo delle risorse, escludendo qualsiasi processo o prodotto dannoso per la salute umana o animale.
Accanto all’attività produttiva, utile a rivitalizzare il sistema economico locale, il valore aggiunto del progetto risiede nel suo ruolo sociale. Il coinvolgimento attivo degli abitanti è l’elemento caratteristico di un processo culturale e sociale che accompagna l’iniziativa economica. La riscoperta di un bene collettivo, e del suo significato, rafforza il senso di appartenenza alla comunità, la quale è proprietaria e sfruttatrice delle risorse. L’iniziativa costituisce inoltre un esempio ed uno stimolo per programmi simili, già attivi o in via di definizione. Nel quadro dei progetti di economia solidale, Farine e Pan di San Marc è il primo passo verso la creazione del distretto del Medio Friuli, un sistema economico locale alternativo e sostenibile, fondato sulla collaborazione tra la popolazione, le amministrazioni locali e le realtà associative ed economiche del territorio.

12.3 Patto della Farina

Incastonato tra il fiume Isonzo e lo Iudrio, il Collio è terra di vini ed eccellenze gastronomiche tra l’Italia e la Slovenia, terra di contaminazioni, scambi, incontri e scontri. In questa zona di confine, crocevia di popoli e culture, un nuovo accordo di filiera dimostra come sia possibile offrire prodotti di qualità e tutelare il patrimonio culturale locale, senza minacciare la competitività economica. Il Patto della Farina, nato tra il 2014 e il 2015, si pone l’obiettivo ambizioso di modificare le relazioni di mercato per tutelare consumatori e produttori e preservare tradizioni e colture locali.
Con l’appoggio del Forum dei Beni Comuni del Friuli Venezia Giulia, due imprenditori agricoli, un mulino, un panificio e i cittadini hanno negoziato un patto di filiera per il frumento locale, determinando modalità produttive e distributive e concordando un prezzo equo per il consumatore e adeguatamente remunerativo per le imprese. Dalla coltivazione di varietà tradizionali di grano, ai forni a legna del panificio in cui cuoce il pane, l’intera filiera si completa in un raggio di appena 20 chilometri.
Tra gli aspetti innovativi del patto, due sono particolarmente degni di nota. In primo luogo, i consumatori non sono più semplici acquirenti, soggetti passivi, ma diventano co-protagonisti della filiera produttiva: partecipano alla redazione del patto negoziando aspetti amministrativi ed economici, ricevono aggiornamenti sulle fasi di produzione e trasformazione, hanno il diritto di visitare le aziende. Il secondo aspetto, complementare al primo, riguarda la ridistribuzione del rischio d’impresa: al momento della sottoscrizione del patto, ogni partecipante si impegna ad acquistare un quantitativo minimo di farina e anticipa un contributo proporzionato, il quale servirà a prefinanziare la produzione e coprire le spese vive nel corso dell’annata agraria. L’impegno economico e personale è ripagato dalla garanzia di prodotti di qualità a prezzi competitivi, mentre gli imprenditori hanno uno sbocco alternativo ai mercati tradizionali, con la garanzia di remunerazione degli investimenti offerta dalla collezione anticipata della domanda.
Il sistema genera inoltre importanti esternalità positive per gli individui e per il territorio: il patto esercita la funzione di collante sociale e costruisce comunità, tutela e promuove la biodiversità e il valore culturale del cibo, contribuisce alla rivitalizzazione di comunità periferiche e rurali, crea occupazione, favorisce la resilienza del sistema territoriale.

12.4 Conclusioni

Due progetti vicini, entrambi incentrati sul grano; due approcci differenti, il cui denominatore comune è l’innovazione delle modalità relazionali ed organizzative per garantire sostenibilità economica, sociale, ambientale. Entrambi testimoniano come un business model alternativo possa modificare il contesto economico e sociale, stravolgendo le dinamiche di domanda e offerta dei mercati convenzionali e generando valore per la comunità.
Il Patto della Farina e il progetto di San Marco sono esemplificazioni pratiche della multifunzionalità dell’agricoltura. Accanto alla produzione di cibo e fibre, infatti, all’attività agricola sono attribuite tre funzioni complementari e generatrici di esternalità positive (Van Huylenbroeck et al., 2007): la funzione ambientale, in riferimento alla tutela del paesaggio, del territorio e della biodiversità; la funzione economica, vale a dire il sostegno generale che l’agricoltura offre agli altri settori, anche nelle economie più industrializzate; la funzione sociale, espletata nella tutela delle comunità rurali, del patrimonio culturale locale e dell’insieme di conoscenze ed informazioni sul territorio e sull’attività agricola stessa. Il concetto di multifunzionalità si sposa con l’accezione di seconda rivoluzione verde usata in questo studio. A tale principio fanno riferimento, ad esempio, gli accordi e le attività in materia agricola dell’Organizzazione Mondiale del Commercio e dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico; esso costituisce inoltre uno dei pilastri della Politica Agricola Comune dell’Unione Europea e dei Paesi membri, nell’ottica di realizzare una strategia agricola competitiva, sostenibile e responsabile.
In questo contesto, e come dimostrano i casi presentati, è possibile ed auspicabile applicare i metodi e gli strumenti dell’innovazione sociale anche al settore agricolo.
L’innovazione sociale non è una caratteristica esclusiva del mondo urbano o industrializzato, al contrario, il suo impatto è importante ed evidente anche nei contesti rurali. Perché «magari, nella vita, avrai bisogno una volta di un medico, di un avvocato o di un architetto; ma ogni giorno, tre volte al
giorno, avrai bisogno del contadino».

12.5 Bibliografia

Cleaver H.M. (1972), The contradictions of the green revolution, “The America Economic Review”, Vol. 72, n. 1/2, pp. 177-186.
Den Herder G., Van Isterdael G., Beeckman T., De Smet I. (2010). The roots of a new green revolution, “Trends in Plant Science”, Vol. 15, n. 11, pp. 600-607.
Holt-Guiménez E., Altieri M.A. (2013), Agroecology, food sovereignity and the new green revolution, “Agroecology and sustainable food systems”, Vol. 37, n. 1, pp.
90-102.
Horlings L.G., Marsden T.K. (2011), Towards the real green revolution? Exploring the conceptual dimensions of a new ecological medernisation of agriculture that could ‘feed the world’, “Global environmental change”, Vol. 21, n. 2, pp. 441-452.
Meena R.n., Lalji Y., Ghiolotia Y.k. (2013), Food security and agricultural sustainability – an impact of green revolution, Environment and Ecology, Vol. 31, n. 2, pp. 1190-1197.
Pingali P.L. (2012), Green revolution: impacts, limits and the path ahead, “Proceedings of the National Academy of Science of the United States”, Vol. 109, n. 31, pp. 12302-12308.
United Nations General Assembly (2000), Resolution 55/2, United Nations Millennium Declaration, disponibile all’indirizzo undocs.org/A/RES/55/2.
Van Huylenbroeck G., Vandermeulen V., Mettepenningen E., Verspecht A. (2007), Multifunctionality of agriculture: a review of definitions, evidence and instruments, “Living reviews in landscape research”, Vol. 1, n. 3.