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"La Vicìnia"
Novembar dal 2009
 
L’immagine di Grado si trova nel sito web: renzotondo.blogspot.com

La “Magnifica Comunità di Grado” continua ad opporsi alla delibera n. 24 dell’aprile 2009 del Comune di Grado
UN TURISMO ECOSOSTENIBILE NON PUò ESSERE IMPERNIATO SULL’ESPANSIONE EDILIZIA ILLIMITATA
La Memoria inviata al Commissario regionale per gli usi civici, alla Corte dei Conti e al Coordinamento regionale della Proprietà collettiva

[Giovanni Mattiussi, segretario del Comitato per l’amministrazione separata degli Usi civici di Grado]
Nell’attuale situazione – scrive la “Magnifica Comunità di Grado” al Commissario regionale per gli usi civici, alla Corte dei Conti e al Coordinamento regionale della Proprietà collettiva –, il diritto d’Uso civco comprende la conservazione e la tutela dell’ambiente secondo le sue caratteristiche naturali e per i bisogni esistenziali e di vita dell’intera Comunità

Oggetto: deliberazione del Consiglio comunale di Grado n. 24 del 29 aprile 2009 in merito a: “Rettifica Bando di accertamento degli usi civici del 1969 per sgravare aree Nuovo Polo Termale”

Facendo seguito all’atto di opposizione-reclamo del 25 maggio, reiterato in data 4 giugno c. a. su tre atti separati da altri 81 concittadini ed all’incontro del 18 agosto c. a. presieduto dalla S. V. nel Palazzo comunale, i sottoscritti cittadini di Grado, incontestati titolari del diritto di Uso civico di caccia e pesca sull’intera superficie territoriale individuata nella planimetria sub. A, allegata alla deliberazione in oggetto, presentano in nome proprio “uti singuli” e nel contempo anche in nome e per conto del Comitato in epigrafe la seguente “Memoria” avverso la richiesta di rettifica al Bando commissariale n. 820/69 come sopra deliberata.

Premesso che il Comitato, costituito in data 28/4/2008, è stato registrato in data 29/4/2008 all’Agenzia delle Entrate di Monfalcone al n. 1013 serie 3 - atti privati;
che gli immemorabili diritti di Uso Civico di caccia e pesca, come definiti dall’art. 1 della legge fondamentale n. 1766/1927 e richiamati con la presente Memoria, risalgono a pratiche e consuetudini antichissime, che hanno storicamente presieduto e rappresentato attraverso i secoli le prime forme di organizzazione economica e patrimoniale di Grado ed avviato la partecipazione popolare alla cosa pubblica ed alla salvaguardia ed alla gestione del territorio;
che il primo documento comprovante tali diritti, risale alla dogale Francesco Foscari «per Grazia di Dio Doge di Venezia A. D. XV dicembre 1439 - Indizione III°», conservata all’Archivio di Stato di Venezia (Libro XIII dei “Commemoriali”) e riconosciuta quale fonte di diritto dagli ordinamenti succedutisi storicamente: quello della Serenissima, quello austriaco con rilevanti condizionamenti francesi ed infine quello italiano;
che la dogale contiene il seguente inciso liberamente tradotto: «i nostri fedeli di Grado, possano per sempre liberamente e facilmente pescare, cessando ogni impedimento e contrasto e convennero inoltre che nessuna persona, tranne quelle gradesi, potrà d’ora in poi pescare senza il permesso ed il consenso della detta Comunità nelle acque soggette alla giurisdizione gradese, entro cioè i suoi confini che vanno dal porto del fiume Tagliamento fino a quello di San Giovanni della Tuba (Duino), sia entro le paludi che sopra il litorale»;
che occorre iniziare a far luce sulla portata della sentenza commissariale n. 2/1996, peraltro non sempre espressa nel modo più chiaro e tuttavia, almeno a parere dei sottoscritti, citata più volte a sproposito dai rappresentanti del Comune nel menzionato incontro del 18 agosto. Intanto perché i diritti di Uso civico spettanti alla Comunità, non sono limitati e circoscritti alla sola laguna, ma includono altresì il litorale antistante: fatto di cui non può dubitarsi in forza della testuale locuzione specificamente riferita all’esercizio del diritto: «sia entro le paludi che sopra il litorale»;
che il rilievo non appare di poco conto, vertendo sull’incontestato diritto non soltanto sulla laguna bensì sulle «terre-lagune», che a loro volta includono l’intera superficie territoriale sub. A comprendente il Parco delle Rose;
che gli abitanti di Grado hanno esercitato “ab immemorabile” tale diritto di Uso civico sulle terre-lagune, ovverossia in laguna, sul litorale e sugli specchi d’acqua antistanti, da Porto Buso alla foce dell’Isonzo, senza che risulti in alcun modo che lo abbiano esercitato in nome del Comune. In mancanza di prova contraria, ciò è sufficiente per concludere che trattasi della proprietà piena e non per derivazione “altrui”, bensì a titolo originario; che «nel diritto veneziano, era diffusa e generalizzata una forma di vera e propria proprietà collettiva dei beni non appartenenti a privati per specifico titolo derivativo». «Si tratta della categoria di beni definiti dalle fonti “comunali” col che si intendeva non già del Comune, bensì della comunità stanziale e residente». Ne consegue che anche la cosiddetta superficie territoriale sub. A in premessa, intavolata e rivendicata a titolo patrimoniale dal Comune di Grado, deve al contrario considerarsi proprietà demaniale civica per possesso ed uso immemorabile;
che questo modo di possedere, acquisito a titolo originario anteriormente alla fondazione della Repubblica di Venezia ed all’istituzione del Comune di Grado, è stato pacificamente esercitato sotto il precedente dominio dei Vescovi e dei Patriarchi di Grado;
che secondo la cronaca detta “Sagornina”, nel 460 il Patriarca Niceta insediò nella città il primo governo politico con la nomina di un Tribunato, che estese progressivamente la sua giurisdizione su Caorle, Equilio, Eraclea, Torcello, Rialto e Malamocco. Fu così che Grado divenne la prima capitale della lega dei “Veneti”, in proseguio identificata come Dogado, sotto il cui dominio i sudditi gradesi esercitarono pienamente i diritti di proprietà in narrativa.
Solo nel 696 con il venir meno della supremazia del Patriarcato, la capitale del Dogado fu trasferita da Grado a Caorle, dove ebbe luogo l’elezione dei primo Doge, poi ad Eraclea ed infine a Malamocco da qui la nascita dello stato Veneziano; che la sentenza del Magistrato delle Rason Vecchie del 14 ottobre 1452, ha riconosciuto in favore dei cives di Marano i diritti di proprietà sulla laguna risalenti al tempo del Patriarcato di Aquileja, ma non quelli analoghi e simmetrici in favore dei “Graisani”, benchè esercitati e riconosciuti per oltre 200 anni sotto il dominio del Patriarcato di Grado.
Senza contare che tali diritti, affondano le loro radici in epoca romana allorché “Gradus” era l’avanporto commerciale e militare di Aquileja in epoca imperiale; che l’obiettivo ultimo della sentenza delle “Rason Vecchie”, intervenuta a ridosso della dedizione di Marano a Venezia, era la spartizione pura e semplice della laguna lungo lo storico asse Porto Buso-Canale Anfora.
E ciò al fine di pacificare una volta per sempre l’area ponendo così fine a diatribe e scontri tra le Comunità di Marano e Grado, stante la crescente importanza strategica e non certo economica e tanto meno fiscale attribuita alla laguna dalla Serenissima;
che in quanto dettata da finalità strategiche e di ordine pubblico, la sentenza veneziana non è pertanto invocabile quale fonte di diritto per costituire o negare la proprietà demaniale civica in discussione; che nel Sommarione napoleonico del 1798, il Comune di Grado si ritrovò improvvisamente titolare della proprietà sulle terre-lagune, compresa la superficie territoriale sub. A senza corrispondere alcun indennizzo agli originali proprietari. Ed in data 24/8/1887, detti beni furono iscritti a nome del Comune nel Libro Fondiario austriaco con la partita tavolare originaria n. 245, sempre senza corresponsione di indennizzo;
che il cerchio si chiude con la seguente dichiarazione apposta in calce alla sentenza n. 2 del 30 gennaio 1996: «Non compete certo al giudicante in questa sede determinare l’attuale valore della transazione del 1904 cui è già stato fatto riferimento e con la quale l’allora Stato austriaco “riconosceva il diritto di proprietà del Comune su tutte le acque di Grado che formano oggetto della petizione del 16 marzo 1892”»;
che poi in conclusione: «accerta e dichiara che gli usi civici spettanti alla collettività dei residenti del Comune di Grado, come indicato nei predetti bandi, non implica la proprietà degli immobili rivendicati»;
che a causa di eloquenti carenze culturali ed organizzative le cui motivazioni esulano dalla presente memoria, l’utenza civica non interpose ricorso con conseguente passaggio in giudicato della sentenza.
Parimenti fece il Comune contravvenendo, a nostro parere, all’art. 9 dello Statuto comunale in posizione antagonista e di costante e sistematico disfavore avverso il diritto di Uso civico;
che trattasi, a nostro giudizio, di un antagonismo esasperato di vecchia data se si considera che perfino dopo il R. D. 22/5/1924 n. 751, il Comune ha continuato per svariati decenni ad alienare senza indennizzo e senza l’autorizzazione delle competenti Autorità un gran numero di realità gravate da Uso civico. Tipico, è il caso della p. c. 43/3 in località Testata Mosconi, occupata senza titolo in data 11/7/1973 a seguito di alienazione nulla in radice riconosciuta ed ammessa dal Comune soltanto il 29/8/1996. E divenuta immediatamente oggetto di transazione conciliativa per l’importo di £ 5.373.200 mentre il suo controvalore ammontava a cinque miliardi di lire, come preso atto dalla Corte dei Conti;
che l’esistenza di occupazioni abusive e vendite fasulle nulle in radice per violazione dell’art. 12 della legge fondamentale, è stata pacificamente ammessa dalla Giunta p. t. in una nota preparatoria ad una seduta di Consiglio comunale degli anni ’90, che si allega per eventuali ulteriori ac- certamenti da parte della Corte dei Conti cui la presente è inviata per conoscenza; che in esito a quanto premesso, la sentenza commissariale n. 2/96 non appare sufficientemente documentata sul piano storico-giuridico pur riconoscendo che sulla faticosa ricostruzione delle fonti, pesa indubbiamente il ben noto incendio dell’archivio stranamente divampato all’ultimo piano del Palazzo comunale di Grado nell’inverno del 1963.
Attaccato l’anno seguente da un secondo incendio ancora più strano all’interno della scuola elementare femminile, dove era transitato quel poco che residuava dell’archivio;
che l’elenco completo della documentazione scomparsa non è, a quanto consta, rinvenibile in Comune, ma solo presso l’Autorità giudiziaria allora incaricata delle indagini. Tenuto conto della sua rilevanza probatoria, si chiede pertanto alla S. V. di voler disporne l’acquisizione d’ufficio;
che ritornando nuovamente sulla citata sentenza commissariale, non può non rilevarsi una singolare incoerenza sul piano logico-formale tra la lunga e contraddittoria trattazione e la concisione telegrafica della motivazione, che ha degradato in poche righe la millenaria proprietà civica in diritti di usufrutto. Le fonti danno infatti per scontata la proprietà dell’antichissima Comunità di Grado sulla laguna, il litorale e le acque antistanti, in quanto formazione sociale primaria ininterrottamente vivente da almeno duemila anni nella storia ed in perfetto equilibrio con la sua laguna e l’ambiente circostante;
che il giudicato, non ha inoltre superato la riduttiva concezione del solo prelievo: una costante iniziata con il bando n. 530/1978 e dilagata con il successivo bando n. 833/1990 e soprattutto con il bando n. 643/1994 ed il bando n. 3/2002. Tutti a correzione, eufemismo che sta per cancellazione tombale, dei beni di Uso civico accertati nel 1969 con il bando n. 820.
Un’impresa che rese allora parziale giustizia ai cittadini di Grado grazie allo straordinario ed accurato accertamento dei beni civici condotto in profondità dal geom. Luigi Favaro e dal dott. Carmelo Palermo;
che, in contrasto con l’art. 9 dello Statuto, l’Amministrazione comunale ha avanzato la richiesta di rettifica del bando n. 820/69 in oggetto per sottrarre ai “Graisani” anche il residuo diritto di usufrutto sulla superficie territoriale sub. A; che il valore capitale della sola spiaggia, ammontava all’inizio degli anni ’90 a tre milioni di Lire al mq. come può leggersi a pag. 34 della relazione sul “Piano di conservazione e sviluppo del Parco naturale della laguna”, promosso e finanziato dalla Regione. Mentre il valore capitale attuale del Parco delle Rose raggiunge come minimo, secondo la stima di diversi esperti, un’ordine di grandezza almeno dieci volte superiore;
che questa colossale rendita di posizione non è, a nostro parere, del tutto estranea alla pretesa localizzazione del cosiddetto“Polo Termale” all’interno del Parco, vale a dire in un santuario ambientale, definito in letteratura come un classico “sito impossibile”, in irrimediabile e non esclusa patologica controtendenza sul piano urbanistico, ambientale e turistico. Mentre una conveniente area contermine, ancorché gravata da Uso civico ma di minor pregio ambientale, potrebbe portare ad una soluzione conciliativa tra gli opposti interessi in gioco tramite i buoni uffici della S. V. Ill.ma ex art. 29 della legge fondamentale;
che, contrariamente a quanto infine emerge dalla sopra nominata sentenza commissariale, l’esercizio della pesca professionale in laguna e sugli antistanti specchi d’acqua di Uso civico, continua ad assicurare una rilevante fonte di reddito. Non esclusiva come ai tempi del Doge e su ciò si concorda con l’allora Commissario. Però egualmente cospicua specialmente in rapporto alla sensibile lievitazione dei prezzi delle risorse ittiche, ivi compresi i molluschi in genere e segnatamente le “Peverasse e Cape Longhe”, nel gergo locale, a mezzo raccolta manuale non professionale di tipo vagantivo.
Quest’ultimo diritto di Uso civico, rimasto disatteso per lungo tempo, è ora in spontanea ripresa nel corso dell’attuale crisi economica;
che la produttività delle valli da pesca e degli impianti di allevamento come pure con variazioni stagionali la piccola pesca, indica ed attesta che lo stato e la morfologia di quei luoghi ed in potenza la superficie territoriale Sub. A, non hanno subito alcuna perdita irreversibile, anzi mantengono tuttora inalterata la destinazione funzionale che qualifica l’Uso civico;
i sottoscritti cittadini di Grado, incontestati titolari dell’imprescrittibile, inusucapibile, ed inalienabile diritto di Uso civico di caccia e pesca, in nome proprio “uti singuli” ed a nome e per conto del Comitato in epigrafe, deducono in via principale anche per le ragioni esposte in narrativa la violazione della legge fondamentale n. 1766 del 1927, così come posta in essere dalla richiesta di rettifica in oggetto depositata nell’ufficio commissariale in data 27/5/2009 con prot. 14481.
Deducono inoltre che il sistema delle rettifiche a ripetizione sopra illustrate conferma la dichiarata ed ostinata volontà del Comune di espropriare o comunque di sottrarre progressivamente anche i residui diritti di perpetuo godimento in capo ai cittadini di Grado, già spogliati del loro diritto di proprietà sul vasto patrimonio demaniale civico. E ciò, a nostro sommesso giudizio, in violazione della legislazione della materia ed in ordine agli accertamenti storico-giuridici del tutto carenti anche rispetto alle difficoltà di reperimento delle fonti
Ricorrono affinché l’Ill.mo Commissario voglia pertanto rigettare la richiesta di rettifica così come avanzata dal Comune di Grado, per le violazioni di legge dedotte in via principale e per quelle qui di seguito evidenziate in via subordinata sulla base dei seguenti motivi.
Con il primo motivo, per violazione dell’art. 29 R. D. 26 febbraio 1928 n, 332 poiché nell’atto deliberativo e nell’allegata planimetria (Sub. A), non è stata quantificata l’esatta superficie di Uso civico da sgravare a beneficio del cosiddetto “Polo Termale”.
Nei medesimi atti, risulta omessa anche la consistenza dei fondi nei confini esterni a seguito della mancata ricognizione e circoscrizione dei fondi medesimi in base ai dati catastali.
Il tutto sostituito da un estemporaneo «elaborato planimetrico, frutto di un assemblaggio manuale di mappe catastali dell’ufficio del Catasto Fondiario di Monfalcone», contrassegnato in calce con i numeri (da 1 a 21) distribuiti a caso lungo il perimetro.
Modalità del tutto insufficiente, come si ribadisce in forza dell’art. 29, a delimitare e circoscrivere l’area civica oggetto di rettifica ed a quantificarne l’esatta superficie complessiva.
Appare inoltre illegittimo ed in ogni caso in violazione della legge fondamentale, rimandare quanto sopra indicato ad atti successivi o a futuri sviluppi dell’atto di intesa Comune-Regione, allegato in delibera.
Si contesta altresì l’omessa apposizione in planimetria di diverse partite tavolari e relative particelle in carenza delle quali, potrebbero derivare equivoci e strumentalizzazioni non solo in danno del diritto civico.
In conclusione, la stessa deliberazione consiliare deve ritenersi viziata in punto di illegittimità stante l’indefinita ed indeterminata indicazione dell’oggetto nella sua dimensione quantitativa.
Con il secondo motivo, si contesta l’illegittima soppressione dei diritti inalienabili, imprescrittibili ed inusucapibili degli Usi civici nella misura in cui essi contribuiscono alla salvaguardia dell’ambiente e del paesaggio in ragione del vincolo paesistico, aggiunto dalla legge 8 agosto 1985 n. 431 anche alla superficie territoriale Sub. A.
Con l’atto amministrativo unilaterale posto in essere tramite la citata deliberazione consiliare, il Comune è illegittimamente intervenuto a negare e disattendere l’ampliamento della tutela dei beni civici impressa dalla legge sopra indicata. La quale ha invece esteso ai beni di Uso civico i divieti, i vincoli e le sanzioni previste per la protezione dei beni di interesse storico ed artistico.
Il danno per l’intera città e non soltanto per l’utenza civica, è evidente ove si consideri che la persistenza dell’Uso civico ha protetto nel recente passato e protegge tuttora nel presente l’indicata sub. A. dall’ingerenza del Comune. E dal dilagare dell’espansione edilizia illimitata, propagata ad oltranza a colpi di disinvolte varianti di un piano regolatore, a nostro avviso, illegittimo non riportando nelle Nta e nelle planimetrie, i vincoli di Uso civico ed i vincoli ministeriali ex L. n. 1497/39.
Detto questo, si riconosce peraltro che l’interesse della fruizione sulla Sub. A, non è più legato esclusivamente al diritto di Uso civico di pesca.
Anche se permane, nella morta stagione, in forma di perpetuo godimento inclusivo della raccolta spontanea, manuale, vagantiva e di tipo non professionale di “Peverasse” e “Cape longhe” sul litorale e le acque antistanti, a nulla rilevando il divieto di approdo citato in delibera.
Nell’attuale situazione economica ed ambientale, il diritto ormai comprende la conservazione e la tutela dell’ambiente secondo le sue caratteristiche naturali per i bisogni esistenziali e di vita dell’intera Comunità e le sue aspettative turistiche ed economiche, come sentenziato dalla Corte Costituzionale.
E ciò in un privilegiato rapporto sinergico con la Sub. A, vale a dire Parco delle Rose, spiaggia, retrospiaggia ed arenile, centrali da oltre un secolo nella vita economica e sociale di Grado, per un turismo eco-sostenibile e quindi non imperniato sull’espansione edilizia illimitata a qualunque titolo esercitata in danno dell’Uso civico.
Ne consegue che l’assunto dedotto in delibera secondo cui «l’area in questione è di per sé compresa nel tessuto urbano da tempo immemore, pertanto l’esistenza del diritto di Uso civico non può trovare alcun tipo di applicazione», risulta infondato per le motivazioni sopra indicate. E per di piu, a nostro avviso, viziato da eccesso di potere per falso presupposto di fatto e di diritto in quanto rivolto ad attribuire al vigente strumento urbanistico, a sua volta illegittimo per le considerazioni sopra espresse, effetti ed atti del tutto inesistenti.
Dal momento che la colata di cemento, che ha sepolto la città in forza di un simile strumento urbanistico, non ha affatto invaso la superficie territoriale Sub. A, addirittura ricomprendendola «da tempo immemore nel tessuto urbano», proprio in virtù della persistenza dell’Uso civico che il Comune non per niente intende “rettificare”.
Non può infatti dubitarsi che la Sub. A , in quanto ecosistema tuttora vivo e vitale in termini di biodiversità, in termini ambientali e d’immagine emblematicamente espressi dal Parco delle Rose, sia da oltre un secolo separato e distinto dal contesto urbano da una barriera tracciata ai primi anni del ’900 a protezione della sua destinazione e vocazione balneare e curativa. Non certo residenziale, il che ipotizzerebbe una balnearità tra i palazzi condominiali ed in mezzo al traffico urbano, ipotesi forse suggestiva per l’attuale Amministrazione comunale, ma respinta dai partecipanti all’Uso civico e dall’intera città alla quale ci rivolgeremo per un referendum abrogativo.
Si aggiunge in particolare che la temporanea utilizzazione balneare del Parco delle Rose e delle altre realità di Uso civico ricomprese nella Sub. A, non è invocabile ai fini della cessazione del diritto. Infatti, la Comunità ha ritratto da tale utilizzazione cospicui vantaggi diretti: sconto per i Gradesi sulle tariffe praticate dall’attuale concessionario. E soprattutto indiretti per i motivi ampiamente dedotti, senza contare che sul punto si è pronunciata una storica sentenza del Commissario veneziano agli Usi civici, che aveva visto, nel 1856, sottratta alla comunità degli utenti un’area boschiva destinata a miniera. L’esercizio non ne aveva comportato la trasformazione per cui, nel 1987, condannò i concessionari della miniera a restituire l’area alla Comunità.
Con il terzo motivo, per il fatto che la “rettifica”, genericamente giustificata in termini di interesse pubblico, contiene a nostro giudizio espressioni piuttosto allusive, peraltro riprese dalla stampa. Le quali lasciano intendere, in coda al cosiddetto “Polo Termale”, la schiacciante realizzazione di interessi privati in forma di alberghi (a Cinque Stelle con tanto di roulette?) e quant’altro dentro il Parco delle Rose, ancorché smentite in via ufficiosa.
Nonché altre iniziative sull’enorme superficie da sottrarre senza compenso all’Uso civico e di cui solo una ridottissima porzione potrà verosimilmente essere destinata alla realizzazione vera e propria delle nuove terme. Il che aprirebbe la strada ad arricchimenti milionari: un’autentica lotteria a spese non solo della Comunità di Grado, ma anche della Comunità regionale, considerata l’altissima rendita di posizione dell’area in danno della sua naturale destinazione balneare e terapeutica. Tutto ciò in cambio di immaginari e non dimostrati ritorni occupazionali e di future stagioni da “Mille e Una Notte” prolungate a tutto l’anno, enunciati in delibera con l’omessa esibizione del piano concernente il cosiddetto “Polo termale”. Omissione cruciale e decisiva, per la quale si chiede all’adito Commissario di voler avviare un’istruttoria supplementare.
In considerazione delle ragioni sin qui esposte, i sottoscritti incontestati titolari dell’Uso civico chiedono all’Ill.mo Commissario di voler sospendere il giudizio onde presiedere un’eventuale iniziativa conciliativa ex art. 29 della legge fondamentale.

Grado, 24 ottobre 2009