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"La Vicìnia"
Novembar dal 2003
 
Dall'introduzione di Pietro Nervi al convegno di Trento
I DIRITTI DELLE COLLETTIVITà
Le ragioni della Riunione scientifica

[Pietro Nervi]
Presentiamo parte dell'introduzione alla IX Riunione scientifica di Trento. Per Pietro Nervi, direttore del Centro studi e documentazione sui demani civici e le proprietà collettive dell’Università degli studi di Trento (www.jus.unitn.it/usi_civici/), «gli ordinamenti della proprietà collettiva, in quanto diverso modo di possedere e diverso modo di gestire, prima di tutto, vanno riconosciuti; e i godimenti collettivi vanno disciplinati, ma non soppressi».


L’odierna Riunione scientifica costituisce un momento di alto livello culturale, incentrato sullo studio di una problematica ampia e di grande attualità relativa alla proprietà collettiva; incontro guidato dalla autorevole competenza e dall’alto senso di equilibrio di chi preside le diverse sessioni di lavoro e fondato sull’attenta e puntuale riflessione degli studiosi che si sono fatti carico di predisporre le relazioni e la documentazione di base.
Occorre precisare subito che la scelta del tema generale della IX Riunione scientifica è fondata sulla convinzione che è tuttora necessario studiare gli istituti dei demani civici e della proprietà collettiva del passato, molti dei quali continuano ancor oggi, ed analizzare, per un verso, i modi in cui tali ordinamenti si sono adattati alle spinte tecnologiche, alla modificazione della composizione del gruppo degli utenti e, per un altro verso, le modalità con cui tali istituti rispondono alle sfide della modernità.
Già il tema generale “Avevano tutto e nulla possedevano” ci richiama all’unica società tradizionale che si è modernizzata dall’interno sul piano intellettuale non meno che su quelli economico e tecnologico: i pensatori medievali occidentali svilupparono, infatti, mezzi e metodi per elaborare la dottrina dei diritti individuali; gli scritti dei canonisti erano permeati da dottrine basate sull’intenzione individuale e sulla volontà individuale in ambiti come il diritto degli illeciti civili, il diritto dei contratti.
Tuttavia, il dibattito attuale intorno alla materia dei “ diritti di uso civico” ci impone di abbandonare il tradizionale linguaggio accademico, consapevole, pacato, colto, dottrinale per invitare, prima di ogni altro, la stessa comunità scientifica, gli enti collettivi, le collettività locali titolari dei diritti civici ad alzare la voce in favore della tutela e della gestione patrimoniale dei dominii collettivi.
Si tratta infatti di un patrimonio - economico, ambientale, culturale - in pericolo!
Non abbiamo timore a dichiarare che dei demani civici e della proprietà collettiva i legislatori ad ogni livello territoriale di governo elettivo conoscono il prezzo, ma essi non conoscono affatto il valore di reali ordinamenti diffusi sul territorio che amministrano, tutelano, valorizzano importanti patrimoni economici, ambientali, culturali e così soddisfano ad interessi locali e generali.
Ci troviamo, infatti, in un momento in cui il potere legislativo dal livello di governo nazionale a quelli subnazionali, l’Amministrazione Pubblica, complici o subalterni o condizionati da poteri forti, dichiarano la propria intenzione e disponibilità alla liquidazione della proprietà collettiva, favorendo e addirittura incentivando comportamenti predatori sulle risorse naturali di uso civico.
Sembra a noi una cultura ufficiale da condannare per il fatto che la Pubblica Amministrazione, abbandonato l’obiettivo della ricerca del bene comune, non cerca neanche di limitare il male; perché offende i cittadini che rispettano la legge, perché ferisce profondamente coloro che da sempre si battono e consumano energie per difendere e valorizzare il patrimonio di collettivo godimento, le risorse naturali, il paesaggio; perché incoraggia comportamenti illeciti; perché penalizza comportamenti corretti. Sanatorie generalizzate di occupazioni abusive dei demani civici conducono, infatti, ad un duplice danno: ovviamente, quello ambientale e paesistico, ma non meno grave, a quello morale.
Gli ordinamenti della proprietà collettiva, in quanto diverso modo di possedere e diverso modo di gestire, prima di tutto, vanno riconosciuti; i godimenti collettivi vanno disciplinati, ma non soppressi. In questi terreni comuni, le collettività locali trovano la propria identità, non per guardare con nostalgia al passato, ma per progettare il proprio futuro nella prospettiva dello sviluppo sostenibile, trovano integrazioni essenziali ai loro beni privati ed al bilancio domestico e la collettività locale individua nella razionale valorizzazione del proprio patrimonio civico la possibilità di mantenere sul territorio le rendite derivanti dall’uso delle risorse comuni.
E’ vero che le risorse naturali esistenti nelle terre di collettivo godimento presentano una spiccata “multifunzionalità”, con segni evidenti di sovrapposizioni di diversi usi sulle stesse risorse: produttivo, protettivo, ecologico, turistico-ricreativo, paesaggistico, culturale. Ma è altrettanto vero che nelle opportunità di valorizzazione degli ecosistemi silvo-pastorali dei demani civici debbono essere tenuti ben distinti almeno tre livelli decisionali: (a) il piano della condizione proprietaria che riguarda gli aspetti della gestione nel duplice profilo della tutela e della valorizzazione; (b) il piano locale, generalmente comunale, che riguarda le politiche pubbliche di area, (c) il piano nazionale o sovranazionale che riguarda le scelte strategiche di politica forestale, agricola, ambientale.
Sotto questo profilo, dobbiamo denunciare come gli innumerevoli strumenti di operatività messi a disposizione della dottrina e rispettosi, ad un tempo, dei diritti delle collettività e dei requisiti della demanialità delle terre di collettivo godimento (permuta, accordi di produzione, ecc.) non sono assolutamente utilizzati o presi in considerazione dalla Pubblica Amministrazione (Stato, Regioni ed Enti pubblici territoriali), la quale arrogantemente privilegia piuttosto istituti di tipo coercitivo che vanno dalla espropriazione all’imposizione di servitù, addirittura per interessi di ordine privatistico.
Il riconoscimento, la conservazione della dimensione dei dominii collettivi ed il mantenimento della destinazione produttiva delle terre sono, dunque, le condizioni necessarie per la produzione territoriale e per l’erogazione dei servizi naturali finali, attività, entrambe, dirette a soddisfare gli interessi locali e quelli più generali. Gli ordinamenti della proprietà collettiva debbono, quindi, essere conservati e migliorati per il godimento diretto disciplinato, ma rispettato, non solo da parte degli stessi montanari, bensì da parte delle popolazioni non residenti, siano imprenditori o consumatori. Su questo sono di grandissima attualità le considerazioni di Arrigo Serpieri , secondo il quale la sottrazione alla comunità locale di questi beni o la sottrazione delle loro utilità ai montanari, anche per necessità di bilancio comunale o statale (fatti più volte avvenuti o tentati), sono di grave pregiudizio ad una sana, equilibrata economia della montagna. Non solo nella montagna, ma anche in pianura, come insegnano l’esperienza e la competente gestione patrimoniale da parte di molti enti collettivi e territoriali operanti nel nostro Paese.
Come ricorda Grossi, sarà l’unico modo per evitare che ci siano, all’interno della società civile, ordinamenti incompresi o, peggio ancora, conculcati: giacché la storia delle proprietà collettive durante la matura età moderna appare come una sequela incredibile di conculcazioni.