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"La Vicìnia"
Avrîl dal 2019
 
La statua di Domenico Adami che interpreta la tradizionale favola di Cercivento “Plan dai Âj”, riprodotta nel volume “Cercivento e le sue fiabe” (2009)

I protagonisti del dibattito di Tolmezzo “Quando montagna e montanari parlano insieme”, nel corso di “InnovAlp” 2019, Renzo Bortolot, Antonio Zambon di Budoia e Luca Nazzi
A “InnovAlp” il contributo dei Domini collettivi della Carnia
UNA NUOVA “GOVERNANCE” PER LA MONTAGNA
«Sordità e smemoratezza stanno intaccando, in Carnia, un patrimonio straordinario di cultura, di economia, di istituzioni»

[Luca Nazzi]
Esiste ancora un’armonia tra uomo e luogo? Un legame che radica l’essere umano alla terra e fa sì che esso ne interpreti i segnali? Quali sono le proposte di governance dei territori marginali per preservare questa condizione?
Per rispondere a tali domande, gli organizzatori del festival delle idee per la montagna “Innovalp” (www.innovalp.org), il 28 marzo scorso a Tolmezzo, hanno voluto ascoltare anche il punto di vista dei Domini collettivi.
Al confronto “Quando montagna e montanari parlano insieme”, hanno preso parte il presidente della “Magnifica Comunità di Cadore”, Renzo Bortolot, l’ex sindaco e presidente di Comunità montana, Antonio Zambon di Budoia, e Luca Nazzi, redattore del servizio informativo “LaVicìnia” (www.friul.net/vicinia.php).
Nazzi ha proposto una relazione intitolata “AAA Cercasi cure efficaci per la sordità dei Carnici”, che pubblichiamo integralmente.


Grazie di cuore agli organizzatori di InnovAlp. Hanno scelto un titolo davvero molto suggestivo, per questo incontro, che suscita molte risonanze.
A parer mio, i Carnici di oggi sembrano affetti da una sordità grave: non sembrano più capaci di ascoltare la propria terra.
Sordità e smemoratezza stanno intaccando un patrimonio straordinario di cultura, di economia, di istituzioni. In Carnia, da decenni, stiamo dissipando un «capitale sociale», sviluppato in secoli di ascolto della montagna.
Come hanno ascoltato i montanari della Carnia, per secoli, la montagna? L’hanno ascoltata attraverso una comprensione, un possesso e una gestione comunitaria, razionale e sostenibile, delle risorse locali, in primo luogo acque, boschi, prati, campi e pascoli; pietre e legname.
Questa capacità di ascolto, per generazioni, si è manifestata ed è stata tramandata in vari modi. Vorrei richiamare la vostra attenzione su tre modalità, che mi appaiono molto significative, attraverso le quali i Carnici hanno tradotto il linguaggio della montagna, le parole della propria terra in un linguaggio comprensibile ai cuori e alle menti degli abitanti di questa piccola regione alpina.
1. Le fiabe; i proverbi e i modi di dire, e tutto ciò che attiene alla tradizione orale, compresi i nomi dei luoghi, i quali attraverso i loro propri nomi rivelano se stessi.
2. La costruzione del paesaggio, attraverso la cura e la coltivazione del territorio e l’utilizzo responsabile e reversibile delle sue risorse naturali.
3. Le istituzioni collettive – in primis le Vicìnie – per il governo condiviso delle Comunità di villaggio e delle rispettive e originali Economie agricole di sussistenza, integrate con gli irrinunciabili proventi, frutto delle migrazioni stagionali Oltralpe.
Evidentemente, non posso che procedere per esemplificazioni e semplificazioni, ma – come dicevo prima – spero di proporre anch’io delle suggestioni per suscitare delle risonanze e per stimolare un confronto e un dibattito fra noi.
Guardate questa statuetta: è opera dell’artista-artigiano-contastorie Domenico Adami di Cercivento. Questa scultura è la traduzione plastica che Adami ha fatto di una favola della secolare tradizione orale di Cercivento la quale, a sua volta, è la traduzione di alcune precise voci della montagna: lo scrosciare dei corsi d’acqua; il frastuono dei massi rotolati e trascinati a valle dai torrenti in piena; il fragore assordante delle frane; gli spaventosi schianti degli alberi, divelti e abbattuti dalle tempeste, proprio come le voci che abbiamo ascoltato alla fine di ottobre dello scorso anno…
Questa è la favola originale. In carnico: «In Plan dai Âj, ai veve un cavîl di cunfins, alassù su la mont di Paulâr. Ai fâs vègni il pretôr a fâ zurâ. Alore Silverio al veve tacât tas zucules cjere dal so ort. Alore al disè cussì che la cjere ch’al pescjave a ere sô. Alore al è stât danât alassù a picâ: ogni volte ch’al è tristimp, a ven jù la Muse come une torent di paltan».
E in italiano: «In località Plan dai Âj ci fu, tanto tempo fa, una causa legale a motivo di confinazioni. Fu fatto venire il Pretore per fare giurare le parti e fu allora che Silverio fece aderire ai suoi zoccoli terra del suo orto. Così potè vincere la causa giurando solennemente che la terra che calpestava era di sua proprietà. Alla sua morte, però, fu condannato a restare lassù in Plan dai Âj, a battere in eterno quella terra con il suo piccone. Ed ogni volta che il tempo si mette al brutto, un torrente di fango e di terra (la Muse) scende rovinoso dalla montagna».
E queste, infine, sono le voci della montagna, tradotte in una “morale”, in un “comandamento universale”, valido per tutte le generazioni, per istruire i bambini e ammonire gli adulti: «Robant la cjera, a si gjava di bocja il pan ai plui piçui e ai plui debui»; «Rubando il terreno, si privano del cibo i membri più piccoli e più deboli di una famiglia».
Ma oggi abbiamo ancora questa capacità di ascolto e di traduzione delle voci della montagna? Non si direbbe che sappiamo ascoltare ancora la nostra terra, considerando come stiamo continuando a distruggere il paesaggio agricolo tradizionale; come abbiamo stravolto i caratteri propri della nostra edilizia rurale; come stiamo moltiplicando interventi irreversibili a danno del nostro territorio e delle future generazioni, per mezzo di cementificazioni e urbanizzazioni insensate, anche in alta quota, producendo rifiuti inquinanti, prosciugando i corsi d’acqua per finte finalità idroelettriche, abbandonando le attività agricole, alpicoltura e selvicoltura o assoggettandole a regole ad esse estranee.
Possiamo assistere indifferenti a tanta devastazione, perché prima ancora abbiamo rinnegato lo stile di vita, la cultura e l’economia propri di Comunità che gestiscono il loro territorio per ricavarne le utilità necessarie alla vita quotidiana e per trasmetterlo alle generazioni future, secondo i principi della gestione patrimoniale e della solidarietà intergenerazionale (sistematizzati nei numerosi contributi del professor Pietro Nervi del Centro studi e documentazione sui Demani civici e le Proprietà collettive di Trento; www.usicivici.unitn.it; e ribaditi nella Dichiarazione della Proprietà collettiva, www.friul.net/articui_vicinia.php?id=135; e nel Documento-Proposta sulle Terre civiche nella montagna friulana del 1997, www.friul.net/articui_vicinia.php?id=3).
Più rapidamente di altre Comunità alpine, in Carnia, abbiamo abbandonato e dimenticato quell’antropologia che caratterizza i gestori di proprietà collettive, la quale – come insegna Paolo Grossi, presidente emerito della Corte Costituzionale e illustre storico del Diritto – si fonda su due primati: il primato della Comunità sul singolo e il primato della terra sul singolo (www.jus.unitn.it/download/usi_civici/notiziario/20080129_122707-grossi-2.doc).
Ripete spesso Grossi: in questa antropologia, la terra non è considerata oggetto di potere, ma oggetto di cure, di cultura, «res frugifera», elemento vivo e vitale. Ecco quindi un caratteristico rapporto uomo-terra. È un rapporto vitale, è un rapporto che tocca l’esistenza del singolo, ma quell’esistenza che s’inserisce armonicamente in un contesto cosmico, in un contesto di natura. Per gli Assetti fondiari collettivi, la terra è soprattutto ambiente, ossia è l’armonia fra azione umana e natura. Per saper ascoltare le parole della montagna, bisogna trattarla così e amarla così. Altrimenti resta muta.
Si può arrestare il degrado della Carnia? Esistono cure efficaci per la sordità e la smemoratezza dei suoi abitanti?
Credo che sia possibile e auspicabile, ma occorre rifondare Comunità, che tornano ad essere protagoniste nella gestione dei Beni collettivi, dei Beni pubblici e dei Beni comuni e che, attraverso tale gestione, restituiscono ai territori stili di vita propri e originali, rilocalizzano l’economia e riducono l’impronta ecologica, chiudendo a livello locale i cicli dell’alimentazione, dell’acqua, dell’energia, dei rifiuti (cfr. il contributo di Delio Strazzaboschi “Nuovi compiti per i Domini collettivi”; http://baliatodaicoi.altervista.org/strazzaboschi-nuovi-compiti-domini-collettivi/; http://www.friul.net/articui_vicinia.php?id=1110).
Prendiamo, una buona volta, ad esempio il Trentino, con le sue 100 Amministrazioni separate dei Beni di Uso civico (contro le 5 della Carnia; www.asuctrentine.it/), e il Cadore, con le sue 50 Regole (contro le 3 della Carnia; www.regione.veneto.it/c/document_library/get_file?uuid=d39c4a04-f769-491c-b120-988ff75cf680&groupId=93132).
Permettiamo alle Comunità della Carnia, che ne hanno la volontà e la sensibilità, di tornare protagoniste nella gestione delle considerevoli Proprietà collettive superstiti.
Poniamo fine all’ostruzionismo e alle usurpazioni dei Comuni carnici (i casi più eclatanti di conflitto fra Comunità e Comuni si registrano ad Ampezzo, Arta Terme, Cavazzo, Forni Avoltri, Forni di Sotto, Ovaro, Ravascletto, Rigolato, Sutrio).
Avviamo processi di «amministrazione condivisa», nel pieno rispetto della Costituzione e del principio di sussidiarietà (articoli 2, 3, 9, 118).
Mettiamo in pratica senza indugi la Legge statale 168/2017, “Norme in materia di domini collettivi” ((www.demaniocivico.it/leggi/nazionali/1755-l-20-novembre-2017-n-168-norme-in-materia-di-diritti-collettivi-pubbl-nella-g-u-28-novembre-2017-n-278), e la Legge regionale 4/2017 per l’Economia solidale (“Norme per la valorizzazione e la promozione dell’economia solidale”; http://lexview-int.regione.fvg.it/FontiNormative/xml/IndiceLex.aspx?anno=2017&legge=4&fx=lex - http://www.forumbenicomunifvg.org/).